Renè Cattarinussi, 19 marzo 2000, Khanty Mansisk (Russia): sono passati più di 11 anni da quel giorno, dall’ultima vittoria di un atleta italiano nella Coppa del Mondo di biathlon. Tanti, sicuramente troppi. La speranza di interrompere questa sgradevole striscia negativa è riposta perlopiù nella punta del nostro movimento, Lukas Hofer. Non è un’affermazione priva di fondamento, dato che l’atleta altoatesino ha interrotto un altro digiuno, riportando il tricolore sul podio iridato nella Mass Start dello scorso marzo, ironia della sorte a Khatny Mansisk: corsi e ricorsi storici. È lo stesso Lukas a raccontarci come si sta preparando a questa stagione per lui importantissima, dato che dovrà essere la conferma dei progressi mostrati lo scorso inverno.
Lukas, il biatlon non è certo la disciplina più popolare in Italia, ma le tue zone rappresentano forse una piacevole eccezione. A che età sei venuto a contatto con sci e carabina? E' stato subito amore tra te e questa disciplina?
"La mia carriera è iniziata nell’ambito dello sci di fondo e mi trovavo benissimo. Il mio primo contatto con la carabina risale al 2000, grazie a mia sorella Katrin, che già praticava biathlon. Ho iniziato a sparare e da quel momento non ho più smesso, si potrebbe parlare quasi di amore a prima vista. Ho subito capito quanto mi piacesse questo sport ed ho deciso quasi subito di abbandonare il fondo, o perlomeno di sciare con un fucile sulle spalle".
Fin dagli inizi della tua carriera, tra le due fasi di gara hai sempre prediletto gli sci alla carabina, o almeno questo dicono le tue caratteristiche di atleta. Non hai mai pensato di passare definitivamente allo sci di fondo?
"Tornare alle origini non mi dispiacerebbe, però solo saltuariamente. Ormai la mia strada è nel mondo del biathlon. Il nostro calendario è denso e non mi permette di pensare a un impegno anche nel fondo".
Nel tuo futuro, sull'esempio magari di Bjoerndalen e più recentemente di Svendsen, Hafsas e Boe, c'è l'intenzione di provare a partecipare ad un week-end di gare della Coppa del Mondo di sci di fondo?
"È un mio desiderio provare a misurarmi con i fondisti in una gara di Coppa del Mondo, come hanno fatto, anche di recente, altri biatlheti. Come già detto prima, ciò sarebbe possibile solo in apertura di stagione, data la densità del nostro calendario. Il problema è che in Italia noi biatleti non siamo ben visti dai fondisti, quindi non so se questa opportunità mi verrà offerta facilmente. Se dovesse capitare, non mi tirerò indietro e cercherò di presentarmi al via al 100% delle mie possibilità".
Torniamo al biatlon. Come vivi il tuo rapporto spesso conflittuale con le sessioni di tiro?
"Da un lato sono contento di avere sempre un costante stimolo per lavorare sempre di più e migliorarmi di giorno in giorno. D’altro canto, non è piacevole sbagliare molto in gara e proprio per limitare quest’aspetto ho lavorato duramente la scorsa estate. Sono fiducioso per la stagione ventura e sono curiosissimo di iniziare per potere verificare questi progressi".
La scorsa stagione abbiamo notato come gli allenatori abbiano provato a rallentare i tuoi tempi di tiro, soprattutto nella sessione a terra. Sarà questa la strada da intraprendere anche nella prossima stagione?
"Con Andreas (Zingerle, allenatore della squadra maschile, ndr) l’obiettivo principale è stato ed è tuttora la qualità del tiro. Diciamo che cerchiamo di chiuderne il più possibile! Proprio per migliorare in quanto a precisione, abbiamo provato ad abbassare i tempi di esecuzione. Per il futuro, però, sarà importantissimo ritornare ad avere una velocità discreta, anche se, prima di tutto, i bersagli vanno coperti".
Proprio il tiro è stata la chiave per la vittoria nella sprint di Canmore 2009 ai Mondiali juniores. Cosa ti ricordi di quei momenti?
"A dire la verità, non ho un ricordo nitido di quella serie di tiro. Come spesso accade in quelle situazioni si è talmente concentrati, soprattutto in una serie così importante, che si finisce per non ricordarsi più di quello che è successo. Ho invece impressi nella mia mente l’ultimo giro, tra gli incitamenti dei tecnici a bordo pista, e l’arrivo con il tricolore. Ma sinceramente della serie in piedi non mi ricordo più tanto".
Rimanendo in ambito giovanile, credi che la prossima stagione possa essere quella giusta per lanciare in Coppa del Mondo ragazzi molto promettenti come Pietro Dutto e Dominik Windisch?
"Beh, per fortuna quest’anno i posti saranno 5, uno in più dello scorso anno. Se il livello delle prestazioni sarà elevato, sarà importante dare loro una possibilità di mostrare il loro potenziale. Però nel caso il livello non sia elevatissimo, credo sia meglio aspettare ed evitare di lanciare nella mischia ragazzi inesperti, rischiando che prendano qualche ‘legnata’ che lasci un segno sul morale. La cosa migliore credo sia far fare loro esperienza in IBU Cup prima di lanciarli sul palcoscenico più importante. Anche per me è valsa la stessa cosa, prima la gavetta e poi la Coppa del Mondo".
Qual è il tuo format di gara preferito?
"Sicuramente le gare sull’uomo, Mass Start e Inseguimento".
I problemi che spesso riscontri nella 20 km, la cosiddetta individuale, sono esclusivamente di natura tecnica oppure soffri ancora un po' psicologicamente questa tipologia di gara?
"Credo che il problema sia stato solamente di natura psicologica: mi concetravo troppo sulla prova al poligono, puntavo solo a centrarli tutti e facendo così il minimo errore mi rovinava la gara. Quest’anno però sono molto più fiducioso anche su questa tipologia di gara".
Quali saranno i tuoi principali obiettivi per la stagione ventura?
"Diciamo che gli obiettivi posti sono di ripetere la scorsa stagione come minimo, cercando di andare ancora meglio. Vista la preparazione estiva, credo sia un obiettivo realistico".
Le premesse sono ottime. Ti presenti con al collo la medaglia di bronzo conquistata nella Mass Start agli ultimi Mondiali. Cosa ricordi di quel pomeriggio?
"Di quel pomeriggio ricordo tutto e credo non me lo scorderò mai, una gara che rimane impressa per tutta la vita. Ricordo in particolare che prima del via mi fermai a scherzare con Emil (Svendsen, ndr) e dopo la gara ci siamo ancora ritrovati a fare due risate. Poi naturalmente indimenticabile è stata la festa del dopo gara".
Cosa ha significato per te trovarsi sul podio vicino a Svendsen e Ustyugov, due tra i talenti più puri del panorama internazionale?
"Era importantissimo trovarsi lì tra loro due, su un podio mondiale. Vedevo concretizzarsi tutto il lavoro fatto, tutti gli sforzi e la fatica. La preparazione era stata finalizzata correttamente e ciò mi dava tranquillità anche per questa stagione che sta per iniziare".
Chi è secondo te il favorito per la conquista della prossima sfera di cristallo?
"Secondo me non cambierà molto rispetto allo scorso anno: Boe, Svendsen e Martin Fourcade, ancora loro tre".
In casa Italia, invece, da chi ti aspetti il maggiore salto di qualità oppure l'exploit?
"Non saprei farti un nome di preciso, anche perché essendomi allenato con la squadra A, o da solo, non ha avuto modo di avere contatti stretti con i più giovani. Spero però che arrivino in tanti ad alti livelli per garantire un futuro al biathlon azzurro".
Oltre alla tua disciplina, quali sport segui abitualmente?
"Mah, seguo tutti gli sport, quando trovo il tempo. Di sicuro preferisco il fondo, l’hockey su ghiaccio e la combinata nordica".
Se devi indicare un personaggio sportivo che vedi come esempio da seguire, la tua scelta su chi ricade? E in ambito non sportivo?
"Petter Northug ha sicuramente un carattere che mi impressiona come forza e tenacia. Tra i norvegesi, anche Emil e Tarjei Boe, che frequento anche al di là delle gare e con i quali mi trovo benissimo. Al di là dallo sport, anche se rimaniamo nell’ambito del biathlon, dal punto di vista umano Andreas Zingerle, il mio allenatore, riesce sempre a trasmettermi tanto".
Mattia Uttini
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