mercoledì 21 marzo 2012

Basket maschile: c’è bisogno di oriundi in nazionale?



Ultimamente è di ritorno la polemica contro le restrizioni italiane al fine di evitare sbarchi di passaportati in nazionale, problema calcistico tanto quanto cestistico. Malgrado le proteste di coloro che intendono mantenere totalmente italiano il roster azzurro (malgrado Daniel Hackett si possa definire in parte statunitense), salgono gli incitamenti di molti nell’ambiente cestistico a sopprimere le limitazioni più imbarazzanti, con l’intenzione di accrescere il potenziale offensivo e difensivo di una nazionale quanto mai schiava dei Big Three della NBA.
Ma come accaduto nel recente Europeo (dove l’Italia ha sfigurato), persino Gallinari, Bargnani e Belinelli non possono tutto, dunque appare evidente il bisogno di innesti; giocatori statunitensi, magari, i quali mai avranno una chiamata nel Top Team di Wade, Bryant, James e Durant. Giocatori naturalizzabili ve ne sono, effettivamente, nella Serie A1, giocatori del calibro di David Moss, statunitense della Montepaschi, ormai ospite del campionato italiano sin dai tempi dell’Aurora Jesi e della Lega Due, convincibile sicuramente ad indossare la casacca azzurra con l’utilizzo delle giuste leve e, prima d’ogni cosa, una politica d’apertura all’inserimento (nonché il corteggiamento) di importanti elementi del basket nostrano.


Tutto fuorché impossibile, oltretutto, sarebbe il tesseramento della triade a stelle e strisce di Pesaro vistasi all’All Star Game, ovvero White, Jones e Hickman, totalmente esclusi delle possibili onorificenze olimpioniche. Rimanendo in tema di All Star Game, proprio la competizione amichevole pesarese ha prodotto i primi forti segnali della volontà del coach della nazionale Pianigiani di riformare una squadra NBA-dipendente, con l’importante inserimento nella compagine azzurra dell’oriundo David Chiotti di Casale Monferrato, un’ala grande pesante con un buon numero di punti tra le mani, ideale sostituto del preferibile Danilo Gallinari, se convocato.

La corsa alla naturalizzazione ed al tesseramento di giocatori stranieri è già cominciata altrove e, nella maggior parte dei casi, i risultati sono ben visibili da subito. Basti pensare alla nazionale spagnola, già di per sé temibile, dotatasi del centro devastante dei Thunders Serge Ibaka, oppure alla Germania, imbarazzante cestisticamente parlando se non per la presenza del noto Dirk Nowitzki e di Chris Kaman, anche lui naturalizzato tedesco e, tra l’altro, spina nel fianco per i lunghi azzurri nella precedente competizione continentale. Un importante esempio entro i confini nazionali può sicuramente essere Bo Lester Mc Calebb, orgoglio senese, il quale ad ogni competizione tra nazioni veste la meno nobile casacca della Macedonia. Si necessita di rinnovamenti, sul finire, i quali, anche nell'ipotesi in cui fallissero, non macchierebbero di certo il palmares di una nazionale scarna di medaglie e successi intercontinentali da ormai quasi un decennio.


Filippo Caiuli

3 commenti:

  1. Il termine oriundo mi ha sempre fatto schifo, per me in nazionale devono giocare i giocatori che per la LEGGE sono italiani. Se Moss ha il passaporto italiano ben venga la sua convocazione, se no nulla

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  2. E' l'unico modo per rilanciare la nazionale. Gli oriundi potrebbero fare da traino anche per i giovani italiani.

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  3. E' un discorso che produrrà sempre opinioni contrapposte. La realtà dei fatti è che il mondo e la società sono cambiati, dunque non vi è nulla di male a convocare in nazionale atleti stranieri, ma in possesso anche del passaporto italiano. Inoltre il loro contributo mi sembra l'unico possibile per rilanciare una nazionale che altrimenti continuerà ad assestarsi su questi bassi livelli ancora molto a lungo.

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