lunedì 6 febbraio 2012
'Inverno Azzurro': analisi sulle difficoltà endemiche dello sci di fondo
Nello sci di fondo i fasti del passato sono finiti. Campioni come Fulvio Valbusa, Pietro Piller Cottrer, Christian Zorzi, Giorgio Di Centa, Stefania Belmondo, Gabriella Paruzzi, Arianna Follis e Marianna Longa (per citare solo quelli dell'ultimo decennio) sono ormai solo un ricordo che diventerà sempre più sbiadito con il trascorrere delle stagioni.
Partiamo dal settore maschile, che in sino ad ora ha accumulato la miseria di tre podi (due di Roland Clara ad inizio stagione, che avevano oggettivamente illuso, ed uno di David Hofer e Fulvio Scola nella sprint a coppie di Milano). Attualmente gli azzurri, nelle prove distance, hanno chances di difendersi (non di vincere) solo nelle gare a skating con partenza ad intervalli. Nelle competizioni in linea, infatti, i nostri portacolori rimangono nelle posizioni di testa sino -2 km dall'arrivo, prima di evaporare inesorabilmente come neve al sole. Mancano non solo lo spunto veloce necessario per imporsi nello sci di fondo moderno, ma anche, e soprattutto, la capacità di cambiare ritmo repentinamente nel corso della gara. E' evidente che il problema sussiste ormai da diversi anni, tuttavia lo staff tecnico non ha fatto nulla per correggere certi difetti endemici: certo, magari i nostri atleti non diventeranno mai come Northug e Cologna, ma sicuramente potrebbero migliorare, e molto, su determinati aspetti.
Come tacere, poi, del tallone d'Achille ormai storico della tecnica classica: gli azzurri, quando gli sci devono essere condotti tra i binari, sembrano quasi fermi rispetto ai rivali scandinavi e non solo. E' un problema culturale. Nel Bel Paese si è diffusa l'idea che noi non siamo in grado di competere in alternato, mentre invece siamo molto meglio nella tecnica libera: dunque perché affannarsi a coltivare uno stile che, si pensa, non porterà da nessuna parte? Questo modo di pensare è radicato non solo ad alti livelli, ma anche alla base. Chi scrive è stato un fondista di buon livello in campo regionale e può assicurarvi che il passo alternato, pur essendo la prima tecnica che si insegna ai ragazzini, viene ben presto 'snobbato' in favore dello skating, ritenuto non solo più divertente (per me non lo era), ma anche (il vero motivo è questo?) un po' meno faticoso, senza contare che 7 gare su 10 a livello giovanile sono con il passo pattinato.
E' necessario, dunque, che i tecnici della nazionale e, soprattutto, gli Sci Club, tornino ad insegnare la tecnica classica, preparando gli atleti con allenamenti specifici di potenziamento delle braccia e delle spalle, fondamentali nel passo alternato. Lo sci di fondo del Nuovo Millennio è sempre più votato alla polivalenza, con campioni stranieri (Northug, Cologna, Hellner, Kershaw, senza dimenticare lo squadrone della Russia) in grado di primeggiare in tutti i format di gara ed in tutte le tecniche. L'Italia, al contrario, è rimasta indietro culturalmente di almeno 10 anni, dunque dovrà cercare di adeguarsi e lavorare sodo per tornare al passo con i tempi.
Segnali incoraggianti in questo senso giungono dal settore giovanile, in particolare grazie al 19enne Claudio Muller. Si tratta di un talento eclettico, che in Coppa Europa ha raccolto podi e vittorie sia nelle gare sprint che in quelle di distanza, risultando performante anche in tecnica classica. Gli imminenti Mondiali juniores di Erzurum ci daranno qualche indicazione in più sulle reali potenzialità di questo ragazzo. Da monitorare con attenzione anche la crescita di Mauro Brigadoi (1992), Francesco De Fabiani (classe 1993, che sabato ha vinto una 10 km tc in Coppa Europa, con Muller terzo) e Giandomenico Salvadori (1992). Dopo moltissimi anni l'Italia è tornata a collezionare risultati di prestigio in campo juniores: che sia di buon auspicio per un ritorno ai vertici mondiali, anche se serviranno almeno 4-5 anni.
Ed ora parliamo del settore femminile. I ritiri di Follis, Longa e Genuin hanno lasciato una situazione che viene espressa al meglio con un sostantivo: desolazione.
Il Bel Paese non solo è sparito dai vertici internazionali, ma anche da posizioni intermedie nelle gerarchie globali. Fa male dirlo, ma nel fondo femminile, ormai, siamo poco più che delle comparse.
Silvia Rupil e Virginia De Martin dovevano essere le giovani su cui investire, in considerazione del fatto che avevano lasciato intravedere qualche spunto interessante nelle precedenti stagioni. Le due azzurre, tuttavia, non solo non hanno compiuto i progressi sperati, ma appaiono persino regredite. Colei che ha compiuto i progressi più tangibili è stata Elisa Brocard, in grado di raggiungere la zona punti con buona continuità nelle prove lunghe, ma incapace di compiere il definitivo salto di qualità nelle sprint, dove sovente, dopo un'ottima qualificazione, viene eliminata nella batteria dei quarti di finale. Procede molto lenta anche la crescita della promettente sprinter Gaia Vuerich, la quale avrà bisogno la prossima estate di accrescere il volume di lavoro per sostenere dei chilometraggi più elevati.
Ha dimostrato carattere la giovanissima Deborah Agreiter, tuttavia non ancora competitiva ai massimi livelli.
La verità è che se gli uomini, seppur sporadicamente, possiedono qualche possibilità per salire sul podio, per le donne un'ipotesi del genere è destinata a rimanere utopistica ancora molto a lungo. A meno che, spinte dai Mondiali di casa della Val di Fiemme e da una nuova partecipazione olimpica a Sochi 2014, non decidano di tornare in pista Follis e Longa, anche se stiamo parlando di fanta-sci.
Comunque qualcosa si sta muovendo a livello giovanile, in particolare con le giovani Giulia Sturz (classe 1993, brava sia nelle prove brevi che in quelle medio-lunghe, a skating ed in alternato) e Greta Laurent (1992, sprinter pura). Ancora troppo poco, però, per una nazione abituata per anni a vincere e che ora si ritrova improvvisamente nel poco gradito ruolo di comprimaria.
Federico Militello
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